TEORIA DELL’ATTACCAMENTO, J. Bowlby
John Bowlby (Londra 1907, Skye 1990) è stato “uno dei tre o quattro maggiori psichiatri del ventesimo secolo” (Storr, 1991), ha elaborato la Teoria dell’Attaccamento, interessandosi particolarmente agli aspetti che caratterizzano il legame madre-bambino.
Il risultato più grande della sua opera è stato quello di unificare la psicoanalisi e la biologia evoluzionistica per il tramite dell’etologia.
Dopo essersi laureato al Trinity College di Cambridge, in scienze precliniche e psicologia, Bowlby iniziò il suo impegno lavorativo presso la scuola attivista di Summerhill, nella quale venivano seguiti ragazzi psichicamente disturbati provenienti spesso dalle classi sociali meno elevate. Il lavoro che portò alla teoria dell’attaccamento iniziò quando Bowlby aveva 21 anni e lavorava in questa scuola per ragazzi disadattati e fu proprio l’esperienza clinica avviata con due di loro, che manifestavano entrambi una relazione fortemente disturbata con la madre, a segnarlo profondamente. Questa prima esperienza portò Bowlby ad interessarsi alla possibile correlazione tra disturbi psichici in età adulta e condizioni ambientali e di sviluppo problematici.
Nell’autunno del 1929 riprese gli studi, si trasferì a Londra per seguire le lezioni di medicina presso l’University College Hospital ed entrare nell’Istituto di Psicoanalisi fondato da Ernest Jones laureandosi in Medicina nel 1936 e diplomandosi come analista nel 1937.
È del 1940 l’articolo intitolato “The Influence of Early Environment in the Development of the Neurosis and Neurotic Character” (L’influenza dei fattori ambientali sullo sviluppo della nevrosi e della personalità nevrotica) che si rivelerà di grande rilevanza per le sue future ricerche e che riprende e sviluppa le prime intuizioni maturate durante l’esperienza di Summerhill; con esso Bowlby propose una teoria in cui ipotizzava che determinati fattori ambientali, in particolare la separazione dalla madre durante i primi anni di vita, potessero causare delle nevrosi in età adulta.
Il rapporto per l’ Organizzazione Mondiale della Sanità
Durante la seconda guerra mondiale Bowlby entrò nell’esercito in qualità di psichiatra militare e terminata la guerra entrò a far parte della Tavistock Clinic, un importante istituto di salute mentale dove, oltre ad essere scelto come vicedirettore, ebbe il compito di sviluppare il dipartimento infantile.
Fu proprio da questo momento in avanti che Bowlby si interessò in modo crescente alla natura del rapporto madre-figlio ed alle possibili conseguenze, sulla personalità dei bambini, di un’eventuale separazione precoce dalla madre in età infantile. I suoi studi furono di così grande interesse per la comunità scientifica che nel 1950 l’Organizzazione Mondiale di Sanità si rivolse a Bowlby, per affidargli la direzione di una ricerca su bambini che avevano perso la propria famiglia. Nel rapporto, redatto nel 1951 con il titolo “Maternal Care and Mental Health” fu molto critico nei confronti delle istituzioni che si occupavano di adozioni ed affidamenti. Bowlby infatti riteneva che negli istituti si riuscissero difficilmente ad instaurare rapporti che potessero favorire una crescita emotiva ed affettiva adeguata. Questo per lui era particolarmente grave, poiché senza relazioni stabili, soddisfacenti e durevoli – secondo Bowlby – l’Io non poteva svilupparsi in maniera adeguata, e questo avrebbe avuto pesanti conseguenze anche nell’età adulta.
Il rapporto riuscì ad avvicinare molte persone alle problematiche familiari, facendo nascere interesse e ricerche sull’argomento in una società in cui vi erano molti orfani e nella quale non si riteneva indispensabile “l’affetto continuativo” per uno sviluppo adeguato della persona.
La Teoria dell’Attaccamento
Una volta concluso il lavoro per l’OMS, gli studi di Bowlby volsero ad indagare quali potessero essere le caratteristiche e lo sviluppo del legame che si instaura fra madre e bambino. Le ricerche, rigorose e confermate sperimentalmente, portarono Bowlby a formulare la Teoria dell’Attaccamento, i cui tratti peculiari vennero dapprima pubblicati sul “The International Journal of Psychoanalysis” in tre articoli che, in seguito ulteriormente ampliati, diventarono i volumi della trilogia “Attaccamento e Perdita”.
Il primo volume “Attaccamento e Perdita. L’attaccamento alla madre”, fu pubblicato nel 1969, il secondo volume “Attaccamento e Perdita. La separazione dalla madre”, fu pubblicato nel 1972 il terzo volume “Attaccamento e Perdita. La perdita della madre” fu pubblicato nel 1980.
Secondo Bowlby l’ attaccamento, che si basa su meccanismi cerebrali innati, è quella spinta che porta il bambino a cercare la vicinanza dei genitori o delle persone che principalmente si prendono cura di lui e a stabilire una comunicazione con loro, instaurando rapporti che influenzano lo sviluppo e l’ organizzazione dei suoi processi motivazionali, emotivi e mnemonici. Da un punto di vista strettamente evolutivo, questo sistema comportamentale aumenta la probabilità di sopravvivenza del bambino.
Per Bowlby l’attaccamento è un legame affettivo di lunga durata significativamente legato a uno scambio di sguardi, tenerezze, accudimento e quindi non solo a cure fisiche.
Inizialmente si stabilisce con una persona specifica, che è rappresentata dalla figura materna, poi questo tipo di legame è presente dalla culla alla tomba ed influenza l’individuo nelle sue relazioni, comportamenti ed atteggiamenti durante tutto il ciclo di vita.
La qualità del legame di attaccamento sviluppato nei primi giorni di vita caratterizzerà poi la qualità dell’attaccamento durante tutto l’arco di vita.
Per descrivere qualitativamente la natura dell’attaccamento, Bowlby utilizza i termini “sicuro” ed “insicuro”, definendo così due categorie generali che comprendono tutta una seri di situazioni intermedie possibili. Gli scambi emotivi che caratterizzano un rapporto di attaccamento sicuro implicano che l’ adulto sia in grado di reagire in maniera pronta e adeguata ai segnali trasmessi dal bambino, con risposte che favoriscono l’ amplificazione di stati emozionali positivi e facilitano il controllo di quelli negativi. In particolare i genitori possono aiutare i bambini a ridurre l’ impatto di sensazioni spiacevoli come paura o tristezza, fornendo un senso di sicurezza che contribuisce a calmarli quando sono agitati. Esperienze ripetute vengono registrate nella memoria implicita, generando aspettative e quindi schemi o modelli mentali di attaccamento che portano allo sviluppo di quella che Bowlby ha definito come “base sicura” per affrontare con fiducia il mondo, anche in età adulta. Tali modelli operativi interiorizzati permettono alla mente di interpretare più velocemente le nuove esperienze e l’ aiutano a prevedere, nelle più disparate situazioni, quelli che probabilmente saranno gli avvenimenti immediatamente successivi. In questo senso la formazione di modelli mentali costituisce un processo fondamentale mediante il quale il cervello impara dal passato e influenza direttamente i comportamenti futuri. Se a questo modello operativo interno corrisponde un senso di sicurezza, il bambino sarà in grado di esplorare il mondo, di maturare e di separarsi dal genitore in maniera sana; al contrario se la relazione di attaccamento è problematica, il modello operativo interno che ne deriva non fornirà al bambino una base sicura e avrà effetti negativi sullo sviluppo dei suoi comportamenti.
Fasi dello sviluppo dell’attaccamento
Bowlby identifica quattro fasi attraverso le quali si sviluppa il legame di attaccamento:
- la prima va dalla nascita fino alle otto-dodici settimane: in questo periodo il bambino non è in grado di discriminare le persone che lo circondano anche se può riuscire a riconoscere, attraverso l’odore e la voce, la propria madre. Superate le dodici settimane il piccolo comincia a dare maggiori risposte agli stimoli sociali. In un secondo momento il bambino, pur mantenendo comportamenti generalmente cordiali con chi lo circonda, metterà in atto modi di fare sempre più selettivi, soprattutto con la figura materna;
- fra il sesto ed il settimo mese, il bambino diviene maggiormente discriminante nei confronti delle persone con le quali entra in contatto;
- dal nono mese l’attaccamento con il caregiver si fa stabile e decisamente visibile: il bambino richiama l’attenzione della figura di riferimento, la saluta, la usa come base per esplorare l’ambiente, ricerca in lei protezione in particolare se si trova a cospetto di un estraneo;
- il comportamento di attaccamento è stabile e profondo fino a circa tre anni, età in cui il bambino acquisisce la capacità di mantenere tranquillità e sicurezza in un ambiente sconosciuto; deve però essere in compagnia di figure di riferimento secondarie ed avere la certezza che il caregiver faccia presto ritorno.
Sviluppi successivi della Teoria dell’Attaccamento
Le scoperte di Bowlby ebbero un significativo impatto e numerosi ricercatori ripresero e approfondirono la teoria dell’attaccamento. Tra le figure più importanti spicca Mary Ainsworth, psicologa particolarmente interessata allo sviluppo di protocolli di ricerca che consentissero una valutazione quantitativa delle caratteristiche di sicurezza delle relazioni di attaccamento. La sua idea fu di studiare le interazioni madre-bambino durante il primo anno di vita dei figli, per poi trovare un modo efficace di analizzare e classificare i modelli operativi interni descritti da Bowlby. Questo è ciò che fece nel corso dei suoi studi, con la messa a punto della procedura utilizzata poi negli anni da tantissimi ricercatori e che oggi è conosciuta come “Infant Strange Situation”.
In questi studi, ogni coppia di madre-bambino veniva periodicamente osservata a casa finché il bambino non raggiungeva l’ anno di età, per poi essere esaminata in condizioni particolari: nel corso di un periodo di venti minuti il bambino veniva posto in una stanza in presenza alternativamente della madre, della madre e di un estraneo o unicamente di un estraneo, per essere infine lasciato completamente solo per circa tre minuti. Il principio è che in un bambino di un anno, la separazione dal genitore in un ambiente da lui sconosciuto avrebbe portato all’attivazione dei meccanismi di attaccamento, consentendo all’esaminatore di valutare le sue reazioni non solo all’allontanamento ma soprattutto al ritorno della figura di attaccamento.
Questo ha portato a classificare, in anni di ricerche, quattro differenti stili di attaccamento attualmente ancora molto studiati ed alla base di tutti i modelli di riferimento teorici dei principali orientamenti di psicoterapia:
- attaccamento sicuro: i genitori son emotivamente disponibili e sensibili e sono in grado di recepire i segnali trasmessi dal bambino e di rispondervi in maniera adeguata; i bambini appaiono sicuri e mostrano di potersi affidare alla figura di accudimento manifestando un chiaro desiderio di vicinanza, di contatto fisico e di interazione nei confronti della figura di attaccamento.
In generale il bambino con attaccamento Sicuro manifesta quello che è stato definito un comportamento di base sicura, nel senso che da un lato appare relativamente autonomo nell’esplorazione dell’ambiente, soprattutto quando il genitore è presente, dall’altro appare in grado di segnalare con chiarezza i propri bisogni di attaccamento, di consolarsi e rassicurarsi alla presenza dell’adulto di riferimento. In questo caso, il genitore rappresenta per il piccolo una base sicura, un “porto” sicuro, presso il quale rifugiarsi e trovare protezione, ma dal quale potersi allontanare fiduciosamente per esplorare il mondo circostante.
Possiamo quindi definire l’attaccamento Sicuro come un’organizzazione comportamentale e relazionale nella quale vi è un corretto bilanciamento fra esplorazione dell’ambiente e attaccamento nei confronti del genitore, ovvero tra indipendenza/autonomia e dipendenza. - attaccamento evitante: i genitori non sono emotivamente disponibili e non sono capaci di recepire i messaggi inviati dal figlio né di rispondervi in maniera adeguata. A questi genitori che hanno atteggiamenti di rifiuto nei confronti del proprio figlio corrispondono bambini che manifestano una disattivazione dei meccanismi di attaccamento, agendo come se il genitore non ci fosse e non affidandosi a lui; questi bambini appaiono particolarmente autonomi e indipendenti, maggiormente centrati sull’esplorazione dell’ambiente e sui giocattoli che sulla presenza dell’adulto di riferimento.
In senso più generale nei bambini con attaccamento Insicuro Evitante il bilanciamento tra esplorazione dell’ambiente e attaccamento nei confronti del genitore è spostato in favore della prima: il loro comportamento enfatizza gli aspetti di indipendenza, autonomia e autosufficienza affettiva nei confronti della figura di riferimento.
- attaccamento ambivalente: i genitori non sono disponibili e recettivi in maniera costante e coerente e tendono ad avere stati della mente intrusivi nei confronti di quelli dei loro figli. I bambini in questo caso risultano ansiosi, preoccupati e non si lasciano tranquillizzare dalla presenza della figura di accudimento, manifestando quindi una sovra-attivazione del sistema di attaccamento per cui la ricerca della vicinanza del genitore continua nonostante il contatto con il genitore; tendenzialmente, i bambini manifestano fin da subito una minore capacità di esplorare l’ambiente in modo autonomo e di interagire con la figura estranea, un notevole disagio durante la separazione, accompagnato anche da una minore capacità di recupero nei momenti di ricongiungimento.
Accanto alla tendenza a non consolarsi con il genitore, questi bambini manifestano comportamenti ambivalenti nei suoi riguardi, nel senso che alternano o mescolano insieme richieste di vicinanza e contatto a comportamenti marcatamente resistenti o di estrema passività, come se la separazione dal genitore determinasse un’insicurezza accompagnata da rabbia o da senso di impotenza.
Più in generale dunque, nei bambini Ambivalenti, il bilanciamento tra esplorazione e attaccamento è in disequilibrio a favore del secondo.
- attaccamento disorganizzato: i genitori mettono in atto forme di comunicazione disorientate e disorganizzate. Sono genitori “spaventati e spaventanti” oltre che abusanti. I figli di questi genitori sono a loro volta disorientati, disorganizzati nel loro modo di agire e nel loro modo di cercare la vicinanza del caregiver.
Il comportamento di questi bambini dunque esprime momenti di generale confusione legati a una profonda incapacità di organizzare efficacemente la situazione oltre ad una significativa difficoltà a orientare il comportamento stesso e l’affettività, anche perché accompagnati da atteggiamenti visibilmente impauriti e rigidi sia a livello corporeo sia per ciò che concerne l’espressione del viso.
L’aspetto rilevante è che i comportamenti disorganizzati o disorientati si verificano solamente quando il genitore è presente e, soprattutto, nei momenti di riunione dopo la separazione, come se non si trattasse di una caratteristica del bambino, ma di un tratto definitorio della relazione.