I disturbi più diffusi
SINTESI TEORICA GENERALE DI INTRODUZIONE AI DISTURBI
“Che cos’è la sofferenza?Io non sono sicuro di che cosa sia, ma so che la sofferenza è il nome che diamo all’origine di tutti i sospiri, le urla e i gemiti – piccoli e grandi, rozzi e multiformi – che ci affliggono.
È una parola che definisce il nostro sguardoancor piùdi ciò che stiamo contemplando.
Jonathan Safran Foer
Nello studio Global Burden of Disease dell’O.M.S. (Murray & Lopez, 1997a, 1997b), i disturbi mentali costituiscono oltre il 15% del carico complessivo attribuibile alle malattie presenti nei paesi con economie di mercato; questa percentuale è addirittura superiore a quella attribuita alle malattie oncologiche.
Da uno studio promosso e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nell’ambito del progetto europeo ESEMeD-WMH, emerge che tra i soggetti intervistati, circa una persona su cinque ha soddisfatto i criteri diagnostici per almeno un disturbo mentale nel corso della vita. I dati fanno riferimento a una popolazione di circa 47.000.000 di adulti residenti in Italia.
La depressione maggiore, le fobie specifiche e la distimia sono risultati i disturbi più comuni, con percentuali di prevalenza nel corso della vita rispettivamente pari al 10,1%, al 5,7% ed al 3,4%, seguiti dal DPTS, dalla fobia sociale e dal disturbo d’ansia generalizzata (riscontrati nel 2% circa dei soggetti intervistati). La prevalenza di disturbo da attacchi di panico, agorafobia e abuso/dipendenza da alcool) è risultata invece inferiore al 2% del campione studiato.
Circa tre milioni e mezzo di persone adulte hanno sofferto di un disturbo mentale negli ultimi 12 mesi; di costoro, quasi due milioni e mezzo hanno presentato un disturbo d’ansia, 1,5 milioni un disturbo affettivo e quasi cinquantamila un disturbo da abuso di sostanze alcooliche.
Rispetto ai tassi di prevalenza nel corso del ciclo di vita, risulta che più di otto milioni e mezzo di adulti hanno sofferto di un qualche disturbo mentale.
L’essere stati precedentemente coniugati o l’essere disoccupato si associava ad una probabilità doppia di aver sofferto di un disturbo affettivo negli ultimi 12 mesi.
Lo studio sottolinea inoltre come le donne abbiano una probabilità quasi tre volte maggiore rispetto agli uomini di aver sofferto di un disturbo mentale nei 12 mesi precedenti.
Tassi di prevalenza molto elevati sono stati trovati tra le persone affette da una qualche disabilità fisica, che appaiono come un gruppo esposto ad un rischio particolarmente elevato di sviluppo di una forma di psicopatologia.
Non sono emerse differenze di rilievo nella distribuzione dei disturbi mentali (tutti o specifici) tra le diverse classi d’età, tra persone con diversi livelli di scolarità, o residenti in aree o zone geografiche diverse (Nord, Centro e Sud Italia).
Secondo la definizione del DSM V il disturbo mentale consiste in una sindrome caratterizzata da sintomi di rilevanza clinica nel sistema cognitivo, nella regolazione emozionale, o nel comportamento di un soggetto che riflettano una disfunzione nei processi psicologici, biologici ed evolutivi sottostanti il funzionamento mentale.
I disturbi mentali sono di solito associati a un significativo stato di sofferenza soggettiva o di disabilità nelle attività sociali, occupazionali e altre importanti.
Un disturbo mentale si configura quindi come una condizione patologica che colpisce diverse aree e funzioni della vita di una persona in modo disadattativo, tale da compromettere la sua integrazione socio-lavorativa e comportare sofferenza per sé e le persone significative della propria vita.
Il modo in cui viene concepito il costrutto di salute mentale viene in parte definito dalla società in cui si è immersi. Ciò che in certe culture o periodi storici è considerato un disturbo mentale o una deviazione del comportamento, in altre culture o periodi può essere ritenuto “normale” o funzionale, se non distintivo di abilità superiori alla norma. Tale concetto è determinato anche dal senso di benessere sperimentato dall’individuo stesso, dalla propria percezione di sé.
Una considerazione così ampia del concetto di malattia mentale, necessaria alla luce delle molteplici evidenze empiriche, suggerisce una concezione della psicopatologia in un’ottica di integrazione delle variabili biologiche, psicologiche e sociali clinicamente significative nel determinare l’espressione della patologia.
Una persona può così lamentare un disturbo nel momento in cui una o più delle variabili (temperamentali cognitive, emotivo-affettive, adattative) si trovano in una condizione di disequilibrio rispetto al quadro precedente, generando sofferenza e disagio. Quando il disordine diventa particolarmente importante, disadattativo, durevole o invalidante si parla di malattia mentale.
Le malattie mentali possono quindi essere concepite come alterazioni psicologiche e/o comportamentali relative alla personalità dell’individuo che causano pericolo o disabilità e non fanno parte del normale sviluppo psichico della persona, acquisendo una funzione precisa, e quindi un significato, all’interno del sistema relazionale in cui emergono ed in particolare all’interno della famiglia, sistema di riferimento principale nell’esperienza emotiva di un individuo.
Le ripercussioni che un disturbo mentale può avere sulla vita di una persona sono estremamente variabili. Se in alcuni casi (come in alcune fobie o nelle depressioni lievi) l’impatto sul funzionamento nella vita quotidiana può non essere particolarmente invalidante, in altri casi le conseguenze sono molto profonde, investendo tutte le aree della vita di un individuo e potendone condizionare profondamente le realizzazioni in campo familiare, lavorativo, sociale, ecc.
La letteratura psichiatrica ha ormai ampiamente riconosciuto la rilevanza dello stress, di lutti e di altri eventi di vita negativi come fattore di rischio aspecifico per tutta la psicopatologia. Tale relazione tra stress e processi che conducono alla malattia è regolata dall’abilità dell’organismo nel raggiungere uno stato di stabilità attraverso il cambiamento. Attraverso questo processo il sistema nervoso autonomo, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e i sistemi cardiovascolare, metabolico ed immune preservano e proteggono l’organismo rispondendo a stress provenienti da fonti interne ed esterne.
Il maladattamento allo stress, attraverso la dialettica tra cervello e corpo, altera varie funzioni e può promuovere diversi di disturbi psicologici (depressione, ansia, comportamenti fobici) e somatici (disturbi cardiovascolari, metabolici, riproduttivi, immunologici, gastrointestinali, sensomotori).
Il paradigma dell’Elaborazione Adattiva dell’Informazione sviluppato da Francine Shapiro e alla base dell’approccio EMDR parte dal presupposto che i fenomeni patologici dipendono da esperienze disturbanti del passato che avviano un modello stabile di emozioni, cognizioni, comportamenti e le strutture di identità che ne conseguono. Il paradigma, pertanto, offre una teoria unificante che può essere considerata come substrato per tutti gli orientamenti terapeutici quando si definisce la patologia come informazione immagazzinata in modo disfunzionale e che può essere adeguatamente integrata attraverso un sistema di elaborazione e risoluzione adattiva, attivato attraverso il protocollo EMDR.
L’EMDR si configura come uno strumento importante per l’elaborazione di quegli eventi di vita negativi che spesso rappresentano un importante fattore d’insorgenza o di scompenso nella depressione, nel disturbo di panico, ma anche nei disturbi fobici, ossessivi, in quelli del comportamento alimentare, nelle dipendenze, fino ai disturbi bipolari e alle psicosi.
Solide evidenze scientifiche indicano l’EMDR come la disciplina che permette la realizzazione della funzione integrativa con altre metodologie e tecniche, attraverso l’azione diretta sugli aspetti traumatici individuali collegati alla malattia, in modo da recuperare e reintegrare la frammentazione dei sistemi cognitivo, emotivo, sensoriale e corporeo, tipica del processo di traumatizzazione. L’intervento dell’EMDR permette l’elaborazione adattiva delle informazioni su tutti questi livelli risultando uno strumento incisivo, flessibile e personalizzabile.
L’utilizzo della psicoterapia integrata con EMDR può migliorare la comprensione di una determinata condizione patologica o di sofferenza, generare risorse protettive ed eliminare i possibili fattori di rischio.